La denuncia di padre Giuà, in missione in Bangladesh
Provoca e fa riflettere, come sempre, padre Giovanni Gargano,
missionario saveriano. “Giuà” per gli amici.
Dal Bangladesh, dove è impegnato in missione, è tornato nella “sua”
Desio per qualche giorno. Giusto il tempo per rivedere i tanti amici che ha
lasciato in Brianza, dove ha vissuto tra il 2000 e il 2005. E giusto il tempo
per provocare e fare riflettere sui temi a lui più cari: la giustizia, la lotta
per i diritti umani, il dialogo, il rispetto. Sabato sera, nella casa dei
saveriani, ha incontrato i ragazzi di
cui è stato animatore, ragazzi oggi diventati adulti, sposi e genitori. Ha parlato del Bangladesh, delle tante persone
che incontra quotidianamente nelle
trafficate vie di Dacca, capitale di uno dei Paesi più poveri del mondo. E soprattutto ha interrogato ciascuno sulle
proprie scelte e stili di vita, dimostrando che possono davvero incidere sul
destino dei popoli. In un clima informale e
famigliare, il missionario ha documentato con foto, filmati e parole la
drammatica realtà dello sfruttamento del lavoro nelle fabbriche bengalesi. Ha
ricordato il tragico crollo della fabbrica a 9 piani avvenuto lo scorso maggio
alla periferia di Dacca, in cui morirono centinaia di operai, rimasti
intrappolati tra le macerie. Il dramma ha acceso i riflettori sulla
fabbricazione a basso costi di vestiti, commissionati dalle marche di
abbigliamento occidentali. “C’erano stati delle segnali il giorno prima, perché sui muri si erano create delle crepe. Eppure gli
operai sono stati fatti entrare ugualmente” ha raccontato il missionario. “Lì
si producevano vestiti per le grandi catene, come Benetton, Zara, Mango, HM.
Gli operai lavoravano in assenza delle più elementari condizioni di
sicurezza”. Di situazioni simili, purtroppo
, ce ne sono tante a Dacca. “Con un amico fotografo siamo entrati in una
fabbrica specializzata nella lavorazione delle pelli. Anche mancavano le minime
condizioni di sicurezza. Abbiamo scattato qualche foto, poi ci hanno cacciato”.
Sempre impegnato a denunciare e documentare, in difesa dei più deboli, Giuà
interroga tutti. “Possiamo fare qualcosa anche noi, ogni volta che facciamo
acquisti, ma non solo. E’ importante aderire alle campagne internazionali per
fare pressioni sui governi. Dopo il crollo della fabbrica, qualcosa è cambiato.
Le grandi marche sono state costrette a fare più attenzione”. Giuà testimonia
il suo impegno con fatti concreti. Di notte,con un un gruppo di studenti, porta
viveri e conforto ai senzatetto. Dialoga
con i musulmani, che sono la maggioranza della popolazione. Incontra i più
poveri. Stimola il confronto e la condivisione, come aveva fatto a Desio,
quando aveva ideato la marcia della pace e il dialogo con i musulmani.
Iniziative che proseguono ancora oggi. “Giuà ti contagia” hanno detto, durante
la serata, i due giovani desiani Mellissa e Alessandro che la scorsa estate
sono stati ospiti del saveriano a Dacca. “Il Bangladesh resterà per sempre nel
nostro cuore. Ci ha cambiato”
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