Nel suo Paese, il Pakistan, costruiva e vendeva
aquiloni. Hussain Shabas, 41 anni, oggi vive in Brianza con la famiglia e fa il
magazziniere. Quando racconta del suo
vecchio lavoro gli brillano ancora gli occhi. “Lavoravo anche di notte
per rispondere alle richieste delle aziende e dei negozianti, quando c’era la
festa degli aquiloni”, spiega, mentre fa volare in alto un aquilone colorato, al parco comunale. Il suo è
quello che vola più in alto. Qual è il segreto? “La precisione nella
costruzione. Le aste di bambù devono essere ben allineate e attaccate alla
copertura di carta”. Il pakistano produceva aquiloni di tutti i tipi, forme e
colori. “Anche il materiale è importante: io facevo arrivare la carta dalla
Germania. Era molto fine e leggera. Per le asticelle, usavo il bambù”. Hussain
ha imparato il mestiere fin da piccolo, quando
a Lahore giocava per ore sui tetti di casa, proprio come racconta Kalhed
Hosseini nel suo libro “Il cacciatore di aquiloni”. “Sono caduto dal tetto
tante volte” ricorda sorridendo. In Pakistan l’aquilone è un vero e
proprio simbolo. Il Festival degli
Aquiloni segna l’inizio della
primavera. In quel periodo, si
organizzano veri e propri combattimenti, il cui fine è recidere la corda
dell’aquilone avversario. Ci giocano i bambini ma anche gli adulti. Le gare
hanno delle regole ben precise (a volte risultano anche pericolose). E’ questo il periodo più intenso per i costruttori e venditori di
aquiloni, che ricevono tantissimi ordini dalle famiglie e anche dalle aziende, pronte a rivendere i prodotti. “Lavoravo per
ore e ore,senza fermarmi”. Più difficile, invece, la vita in inverno. “Nelle
stagioni fredde il lavoro non c’era”. Per questo, Hussain ad un certo punto ha deciso di partire, anche se a malincuore.
E’ così giunto in Italia, dove già si trovavano alcuni parenti. “Da 5 anni
faccio il magazziniere”. Un lavoro che
fa per necessità. Ma che non ha niente a che vedere con la sua vera passione.
“Tornare a costruire aquiloni? Certo, lo farei subito”. Chissà ,magari anche in Italia la sua idea
potrebbe avere successo
Un coetaneo del copilota della Germanwings, in servizio negli Usa, "siamo sempre sotto stress, ma non facciamo controlli o visite dallo psicologo" Stefano Biundo, desiano, è un pilota d'aerei. Ha alle spalle oltre 3500 ore di volo con la American Eagle, nonostante la sua giovane età. Ha 29 anni, solo due anni in più di Andreas Lubitz, il copilota dell'aereo della Germanwitz che, stando alle indagini, ha provocato volontariamente lo schianto costato la vita, martedì scorso, a 150 persone. «Non è la prima volta che un pilota si suicida in volo: mi sembra di ricordare un altro caso avvenuto su un volo della Ethiopian Airline» dice, in collegamento via Skype dall'Alabama, negli Usa, dove lo hanno raggiunto la moglie Cristina e il figlio Lorenzo di 20 mesi. "Da noi negli Stati Uniti comunque per regola non può stare un solo pilota in cabina: se il collega deve assentarsi anche solo per qualche minuto, deve entrare un assistente di volo". E allarga
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