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Donne venute dall'Est




«Cosa desideriamo? Un posto dove incontrarci, al caldo». Lo dicono in coro, Maria,  Ludmilla, Galina, Valentina, Olga, Anna, Oxana, Irina, Anna, Nadia, Alessia. «Ocen priatna». Piacere di conoscervi. Non tutte vogliono farsi fotografare. Il loro "salotto" è il parchetto di via Fratelli Cervi a Desio. Si ritrovano qui, tutti i pomeriggi, dalle 14 in poi, per circa due ore. E' il loro tempo libero. Poi devono rientrare al lavoro, a casa degli anziani che accudiscono quotidianamente. Un lavoro duro, quello delle badanti. Non hanno una propria casa, uno spazio tutto loro. Ecco, allora, che alla domanda: «Che cosa desiderate?» rispondono tutte insieme: «Un posto chiuso, dove trascorrere le nostre ore libere, incontrarci e chiacchierare tranquillamente».  E' la stessa risposta, la stessa esigenza che emerge dalla ricerca sulle donne immigrate di Desio,  promossa dall'amministrazione comunale in collaborazione con associazioni e scuole del territorio, nell'ambito del progetto "Il mondo in città: Tutte diverse, tutte pari" finanziato dalla Regione Lombardia, che sarà presentata stamattina (14 marzo) in municipio. Le donne straniere desiderano incontrarsi, confrontarsi, confidarsi, condividere preoccupazioni e pensieri ma anche  gioie e momenti piacevoli.  E vorrebbero farlo in uno spazio dedicato a loro. Lo desiderano, in particolare, le donne dell'Est, come le ucraine che si ritrovano tutti i giorni nei parchi e giardini pubblici. «Stiamo qui, all'aperto, anche quando fa freddo e piove». La loro libera uscita coincide con le prime ore del pomeriggio.  Poco alla volta, le panchine si riempiono.  Storie diverse, età diverse (dai 30 ai 60 anni), desideri e sofferenze simili. «Noi siamo qui,  ma il nostro cuore è in Ucraina». Le preoccupazioni per i famigliari lontani ci sono sempre state. Adesso sono ancora più forti. Le notizie che arrivano dall'Est non sono per niente confortanti.    Nonostante la tregua tra Ucraina e Russia, non passa giorno che non si contino morti e feriti. «Sono preoccupata - dice Olga  - Mio figlio dovrà fare il servizio militare. Dove finirà?». «La nostra gente muore» aggiunge  Galina, scuotendo la testa. «Dite a Berlusconi di andare a parlare col suo amico Putin» dice provocatoriamente Anna. Si parla di politica e di strategie internazionali, sulle panchine del parchetto di via Fratelli Cervi. Le badanti sono informate. Leggono, ascoltano, si fanno le loro opinioni, discutono.  «Molte di noi sono laureate» sottolineano. Ora, in Italia, accettano di fare i lavori più umili. «Va bene così, non ci lamentiamo: siamo qui per lavorare e per mandare i soldi alle nostre famiglie». Appena possono, inviano i pacchi. «Mandiamo pasta, olio, riso. Ma anche vestiti». Una volta all'anno cercano di tornare a casa. «Viaggiamo in autobus, è più conveniente. Il viaggio dura più di 30 ore». Intanto, in Italia, cercano di fare tesoro di ogni esperienza. Hanno imparato l'italiano. Qualcuna sa anche il dialetto. «Stiamo qui a ciciarare» dice ridendo Galina. «Abbiamo imparato l'italiano frequentando la scuola, guardando la tv e parlando con gli anziani di cui ci prendiamo cura».  I sapori e i profumi del loro Paese, a volte, li portano in tavola. «Cuciniamo la minestra di bietole o gli involtini di carne». «Una sera, mentre preparavo la zuppa di pesce, la mia vecchietta, incuriosita, mi ha chiesto di assaggiarne un pò: non le è piaciuta, c'è mancato poco che la sputasse nel piatto». Risata collettiva. C'è bisogno di sdrammatizzare. C'è bisogno di un luogo  di incontro.   

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